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LA FAMIGLIA MARCO 3:35

“Chiunque avrà fatto la volontà di Dio, mi è fratello, sorella e madre”

Senza alcun dubbio la famiglia è una istituzione divina. Creando l’uomo maschio e femmina e dando loro la facoltà di procreare, il Signore ha prodotto quella realtà che costituisce il nucleo centrale della società.
Non dobbiamo però dimenticare che il peccato ha rovinato anche tale creazione di Dio, nei suoi rapporti più intimi che dovrebbero essere i più solidi. Possiamo facilmente osservare come Adamo si sia scagliato contro Eva nel vano tentativo di giustificarsi(Genesi 3:12). Di conseguenza non possiamo esaltare, sublimare la famiglia come se questa fosse immune dal peccato. La famiglia non può essere considerata,
come avviene in determinati ambienti evangelici, il simbolo, il segno distintivo del cristianesimo. Esistono famiglie felici fuori dal cristianesimo e famiglie travagliate al loro interno nell’ambito cristiano.
Nell’ordinamento sociale dell’Antico Testamento la famiglia naturale era molto importante; ogni famiglia faceva parte del “clan” o gruppo di famiglie e i diversi clan formavano la tribù. Ogni capo famiglia era membro del consiglio del clan e la sua influenza dipendeva dal numero di coloro che partecipavano alla sua casa. Esistevano regole precise perla vita familiare, i diversi ruoli erano chiaramente definiti e lo scopo
principale consisteva nella procreazione dei figli, che erano visti come un rimedio contro la morte, un mezzo per sopravvivere in loro, in quanto non si credeva nell’immortalità naturale dell’anima. A tal fine veniva tollerata la poligamia, che sembra si sia estinta definitivamente dopo l’esilio.
L’avvento del Signore Gesù Cristo ha mandato in frantumi il quadro della famiglia naturale veterotestamentaria. Questo non ha comportato un’atomizzazione della società e la famiglia naturale continua ad esistere con le sue responsabilità, luci ed ombre, gioie e dolori, ma alla famiglia naturale si è sovrapposta la famiglia soprannaturale cioè la Chiesa. Alla “famiglia della creazione” è subentrata la “famiglia della redenzione”.
Gesù è venuto a dividere i legami familiari(Matteo 10:34-37). Qualsiasi ragione familiare è sottoposta alla chiamata divina (Matteo 8:21-22), la famiglia naturale con i suoi vincoli di sangue ha cessato di essere
determinante (Matteo 10:21-22) e il Signore con la sua opera esige la priorità assoluta (Luca 14:26; Marco 10:28-30).
Anni fa partecipai ad un Convegno cristiano in cui si sosteneva che un fratello non poteva accogliere la chiamata ad un incarico o ad un servizio, pur essendone predisposto e capace, se non vi era il consenso della moglie. Certamente l’accordo in famiglia è importante e va ricercato, ma vi immaginate l’apostolo Pietro che
alla chiamata di Gesù si riservi di avere il consenso della moglie? (Matteo 4:18-20).
Il superamento della famiglia naturale per quella spirituale è chiaramente affermato e confermato dal nostro
breve testo. Il Signore Gesù stesso conobbe difficoltà familiari, ma ciò non significa che ogni cristiano le debba conoscere. E’ chiaro che non vanno suscitate con atteggiamenti irresponsabili(Romani 12: 18)ma se esistono vanno sopportate con pazienza. Gesù ha conosciuto l’ironia dei suoi fratelli (Giovanni 7:2-4) e la loro
incredulità (Giovanni 7:5), ha conosciuto il giudizio negativo ed offensivo dei suoi parenti(“E’ fuori di sé” -Marco 3:21) e il disprezzo della sua famiglia (Marco 6:4).
Sappiamo che dopo la sua morte e resurrezione le cose cambiarono totalmente e la sua famiglia si integrò nella nascente comunità cristiana (Atti 1:14), ma fino a quel momento Gesù ebbe a sostenere, oltre a tutte le altre difficoltà che i Vangeli descrivono, anche l’opposizione dei suoi familiari. Egli tuttavia trovò nei
suoi pochi seguaci una nuova famiglia. Per noi tale fatto sta a dimostrare che la famiglia spirituale, anche se in tanti casi è carente, mancante, difettosa e imperfetta, è superiore a quella naturale. Si tratta di una superiorità qualitativa in quanto la Chiesa ha carattere eterno, continuativo; si tratta di una superiorità di priorità in quanto la famiglia di Dio si fonda nella volontà di Dio (Efesini 2:19); ed infine si tratta di una superiorità coinoniale in quanto i suoi membri sono uniti non dal sangue ma dallo Spirito Santo.
Tuttavia la famiglia naturale non è stata soppressa o vilipesa: Gesù l’ha tenuta in considerazione benedicendo le nozze di Cana e risuscitando, guarendo, liberando molte persone per intercessione dei loro familiari. Pertanto all’interno della famiglia di Dio c’è spazio per le famiglie umane.
Siamo chiamati a vegliare, a tutelare, a curare la Chiesa come le nostre famiglie umane e ancora di più, facendo attenzione che la nostra cura della famiglia naturale non provochi mai danno alla nostra famiglia soprannaturale.
Carlo B.
Settembre 2009

ORA ET LABORA MATTEO 6:5

Quando pregate non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno.”
Quando Benedetto da Norcia (480 – 546) diede vita all’ordine monastico che porta il suo nome, lo regolamentò con uno scritto definito “Regola Benedettina”, che doveva ordinare tutti gli aspetti della vita in comune. In tale scritto si insiste sulla vita comunitaria, si prescrive la sottomissione all’abate e a tutti gli altri monaci specialmente se anziani, si raccomanda l’autosufficienza per le necessità del gruppo, si caldeggia la vita intellettuale e si prescrive il lavoro quotidiano, tanto che “ora et labora” è divenuto il proverbiale precetto di tutto l’ordine.
Nel tempo il motto che sintetizza la “Regola Benedettina” divenne il simbolo di tutto il monachesimo occidentale in contrapposizione a quello orientale, in cui si prediligeva l’aspetto contemplativo, la vita puramente ascetica. Così nell’ “ora et labora” abbiamo sintetizzati i due elementi fondamentali della vita cristiana: quello teorico e quello pratico, quello dogmatico e quello concreto, la contemplazione e l’azione, il mistico e il materiale. Due aspetti che non possono venire disgiunti nella vita personale e comunitaria del credente senza danni e conseguenze irreparabili.
Infatti se si predilige la vita contemplativa a danno di quella pratica, si è portati a sentirsi spiritualmente a posto per aver presentato a Dio i bisogni nostri e degli altri, senza che vi sia un
coinvolgimento personale ma solo elencando al Signore quello che deve fare e insegnandogli anche in che modo lo deve compiere. In tal caso la preghiera, specie quella comunitaria, finisce per assomigliare ad un “consiglio di fabbrica”, dove si analizzano i bisogni e si affida al “padrone” la risoluzione dei problemi. Tutto questo non ha nulla a che fare con l’umile avvicinamento al trono della grazia divina per chiedere perdono per quello che siamo e porci umilmente a disposizione di Dio per compiere la sua volontà e la sua opera.
Se invece si preferisce la vita attiva, pratica, impegnata, la preghiera diviene facilmente una formalità con cui il credente chiede la benedizione di Dio sulle sue decisioni, scelte e attività. Si manifesta così chiaramente di non dare importanza al pensiero e al parere di Dio, di essere assolutamente sicuri di se stessi e di volere agire secondo la propria volontà.
In entrambi i casi non si capisce perché si continui a definire Dio “il Signore”, quando da un lato viene considerato un semplice servitore e dall’altro ne viene ignorata volutamente la volontà.
Quando separiamo l’ “ora” dal “labora” cadiamo vittime del nostro egoismo o della nostra presunzione, in ogni caso del nostro peccato.
Interrogando le Scritture Sante troviamo diversi esempi di coinvolgimento personale e pratico che ha accompagnato la preghiera.
Ad esempio Sansone, prigioniero, accecato, messo in ridicolo dai suoi nemici, invocò il Signore e mise a disposizione la sua stessa vita per ottenere la vittoria su coloro che opprimevano il popolo di Dio (Giudici: 16:28-30).
Esdra, quando venne a conoscenza dei peccati del popolo, specialmente dei religiosi, si umiliò personalmente e profondamente prima di agire secondo l’ordine di Dio (Esdra 9:5-15;. 10:1-4). Neemia, quando fu informato sulle condizioni di Gerusalemme, pregò il Signore piangendo e si mise a sua disposizione per andare a svolgere un prezioso lavoro di ricostruzione materiale e di rinnovamento spirituale (Neemia 1:4-11).
Anche la regina Ester, quando conobbe il pericolo che incombeva sul suo popolo, pregò e digiunò e mise a repentaglio la sua stessa vita chiedendo udienza al re (Ester 4:15-16).
All’apostolo Paolo, mentre era in preghiera dopo la sua conversione, fu mostrato dal Signore quanto avrebbe dovuto soffrire per il nome di Cristo e lui non si trasse indietro (Atti 9:11-16).
L’apostolo Pietro, in seguito alla preghiera abbandonò le sue tradizioni e convinzioni, comprese che la grazia di Dio si estendeva ai pagani ed agì in modo da mettere a repentaglio la sua reputazione (Atti 10:9-35).
Il Signore Gesù stesso unì alla preghiera la rinuncia alla sua volontà e la smisurata sofferenza del Getsemani (Luca 22:41-44).
Non si può scindere la preghiera dal nostro impegno, dal nostro servizio e lavoro, dalla santificazione e consacrazione. La preghiera priva del coinvolgimento della nostra vita è pura ipocrisia, è artificiosa e pericolosa finzione. Come la fede senza opere, la dottrina priva di pratica, la mistica senza prassi. Nello stesso modo l’impegno cristiano senza preghiera non ha senso né valore.
Questa riflessione ci induca a meditare sulla realtà e sul valore della nostra vita spirituale!

Di Carlo Bertinelli Chiesa Evangelica Bologna

CRISTO CROCIFISSO: CHI E’?

Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, pazzia per i pagani, ma per i chiamati, giudei o greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Corinzi 1: 23-24)

– “Lo crocifissero!” (Giovanni 19:18) – Con tale breve frase del Vangelo viene presentata sobriamente e sinteticamente l’ora decisiva della vita di Gesù di Nazaret e anche della storia dell’umanità.

Viene spontaneo chiedersi: chi era veramente Gesù di Nazaret? E a questa prima fondamentale domanda ne faremo seguire altre. Tale domanda non può essere soddisfatta da risposte superficiali. Molti lo ritengono un semplice e comune uomo, altri un uomo buono che ha insegnato e compiuto del bene, per altri è stato un libero pensatore che ha coraggiosamente sostenuto le sue posizioni anticonfessionali e antidogmatiche. Oppure è ritenuto un eccelso moralista, il fondatore di una nuova religione come Confucio, Budda o Maometto e per qualcuno è stato il primo socialista. Comunque sia, un uomo scomodo per la società di ogni tempo, come dimostra il fatto che fu rifiutato e crocifisso.

Nel tempo si è molto discusso sulla storicità della Persona di Gesù e grandi cervelli si sono scomodati per definire la realtà o il mito della sua vita. In modo particolare dopo il 17° e 18° secolo apparvero le scuole del Protestantesimo Liberale con la “critica superiore” alle Scritture, dell’Escatologismo che riduce la predicazione di Gesù all’attesa della fine, e del Comparativismo storico-religioso che confronta i dati storici con le affermazioni bibliche. I principali dati della vita di Gesù su cui ci si confronta sono l’anno della sua nascita, le due diverse genealogie di Matteo e Luca ed alcune differenze che si trovano nei racconti evangelici. Si tratta di dati spiegabili, non sufficienti per dubitare della storicità di Gesù Cristo. Basti considerare che dalla sua nascita si è iniziato a contare il tempo: prima o dopo Cristo.

Le pretese di Gesù circa la sua persona varcano ampiamente i confini dell’umano. Egli ha affermato di essere senza peccato ed ha sostenuto la sua perfezione morale sfidando i suoi interlocutori a dimostrare il contrario (Giovanni 8:46). Ha dichiarato di essere la luce del mondo ed ha dimostrato la sua affermazione ridando la vista ad un cieco dalla nascita (Giovanni 9:5-7). Ha detto di essere il pane della vita e lo ha dimostrato moltiplicando cinque pani e due pesci e nutrendo così una folla di cinquemila uomini oltre alle donne e ai bambini (Giovanni 6:48; Matteo 14:15-21). Ha sostenuto di essere la resurrezione e la vita ed ha chiamato Lazzaro fuori dalla tomba dove era rinchiuso già da quattro giorni (Giovanni 11:25-44). Ha anche proclamato di essere la verità e la vita (Giovanni 14:6) e ha manifestato di esserlo attraverso la sua resurrezione. Infine ha confermato di essere Dio, uno con il Padre in cielo (Giovanni 10:30). Così come il Padre celeste accompagna le sue dichiarazioni d’amore con fatti concreti (Giovanni 3:16), ugualmente il Figlio ha fatto seguire le sue affermazioni da atti concreti.

Il Signore Gesù Cristo ha affermato e dimostrato di esser Dio stesso, il Creatore, il Santo, l’Altissimo, l’Eterno. Gli rendono testimonianza le Sante Scritture che lo annunciano dall’antichità (Genesi 3:15). Lo confermano le opere che Egli ha compiute (Giovanni 5:36: 10:37-38), le guarigioni di varie malattie e la resurrezione di morti: la figlia di Iairo (Matteo 9:23-26), il figlio della vedova di Naim (Luca 7:12-16), Lazzaro (Giovanni 11: 41-44). Infine lo attestano la Chiesa delle origini, con i suoi testimoni oculari, i Padri e i tantissimi martiri che offrirono la loro vita nella certezza che come Cristo è risorto dai morti così risorgeranno coloro che appartengono a Lui per la fede (1 Corinzi 15:20-22).

Il Signore Gesù non fu un uomo che al colmo della sua follia volle farsi credere Dio, come tanti imperatori e tiranni del passato, ma è Dio che all’apice della sua misericordia, pietà e amore si è fatto uomo per abitare un tempo fra noi (Giovanni 1:14). Egli ha completato la Rivelazione divina (Giovanni 14:9) con la sua Persona e ha offerto alla sua creatura la soluzione del problema del male e delle conseguenze del peccato, fornendo nella fede in Lui una speranza che dona pace, gioia, certezza, un punto di riferimento sicuro ed eterno.

Cristo crocifisso: chi è? E’ Dio, il Signore e Creatore, che si è abbassato nella nostra umanità, di cui ha condiviso tutto tranne il peccato, per essere crocifisso al nostro posto e pagare il nostro debito davanti alla sua propria giustizia, la giustizia divina.

Credo non sia possibile rimanere indifferenti davanti a Gesù. Non è possibile disinteressarsi di Lui o rimanere neutrali.

L’atteggiamento che assumiamo verso il Cristo crocifisso avrà per noi un valore eterno (Luca 9:26).

Al di là dei vari pensieri religiosi, si impone alla nostra coscienza la doverosa necessità di esaminarci alla luce della Parola di Dio e con il prezioso aiuto dello Spirito Santo, per affidarci completamente a Dio che ci ama, che è venuto sulla terra per noi perché vuole perdonare tutti i nostri peccati e salvarci per l’eternità.

Gesù è il Figlio di Dio crocifisso per me.

“Chi vuole conoscere l’amore, si ritiri sul Calvario e guardi morire l’Uomo dei dolori” (Charles H. Spurgeon)

Carlo Bertinelli

Gennaio 2017

CRISTO CROCIFISSO: PERCHE’?

“Colui che non conobbe peccato, Egli lo fece peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in Lui” (2 Corinzi 5:21)

Attraverso il racconto della crocifissione trasmessoci dai quattro evangelisti, apprendiamo che sulla croce il Signore Gesù pronunciò sette brevi frasi:

“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” ( Luca 23:34)

“Io ti dico in verità che oggi tu sarai con me in paradiso” (Luca 23:43)

“Donna ecco tuo figlio, ecco tua madre “ (Giovanni 19:26-27)

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 27:46; Marco 15:34)

“Padre nelle tue mani rimetto lo spirito mio” (Luca 23:46)

“Ho sete” (Giovanni 19:28)

“E’ compiuto!” (Giovanni 19:30)

Dovremmo soffermarci su ciascuna di tali frasi perché ognuna ha un suo particolare messaggio, ma nell’insieme ci fanno capire che il divino crocifisso, anche nel supplizio della croce, non era fisicamente indebolito, sfinito, esausto, ma rimase eretto nella sua persona, capace di gridare e con la testa alta, che chinò solo nel momento in cui cacciò il suo spirito affidandolo nelle mani del Padre (Giovanni 19:30). La sua morte fu volontaria (Giovanni 10:17-18), apparentemente sembrò una sconfitta, ma fu poi seguita dal più grande dei trionfi: la resurrezione.

La frase centrale fra quelle espresse dalla croce (Dio mio, Dio mio…) ha per noi un profondo significato spirituale, ma anche emotivo, sentimentale e commovente. Mette in luce la perfetta umanità di Gesù, che si interrogò non per ricevere una risposta razionale, che conosceva molto bene, ma per invocare come uomo l’aiuto divino indispensabile a sostenere il peso e la condanna del peccato di tutta l’umanità.

La risposta a questa domanda di Gesù, cioè al perché della croce e dell’incarnazione, non era quindi indirizzata a lui, che essendo Dio conosceva il pensiero del Padre, ma deve giungere a noi, che spesso siamo tardi a comprendere e non abbiamo il senso delle cose di Dio (Matteo 16:23). Gesù è stato l’unico uomo nato per morire e nella sua morte è racchiuso il germe della nostra vita (Giovanni 12:24). Tutti noi sappiamo che siamo destinati alla morte, che è la conseguenza del nostro peccato (Romani 6:23). Gesù essendo privo di peccato non avrebbe dovuto morire, ma il pensiero della morte ha costantemente dominato la sua vita ed ha voluto morire per espiare, con la sua vita offerta in sacrificio, il peccato dell’umanità (Romani 8:23).

Attraverso la sua Santa Parola, il Signore ha rinchiuso tutto sotto peccato (Galati 3:22). Ha dichiarato che tutti gli uomini sono peccatori, separati da Lui e di conseguenza eternamente perduti. Il peccato antico, come quello di ogni individuo, consiste nel rifiuto della propria creaturalità, nella pretesa della propria autonomia e indipendenza, così che Dio è messo alla porta della nostra vita. In modo drastico o religiosamente cortese Egli è sempre escluso, anche se qualche volta viene chiamato in causa in modo critico e oltraggioso. Poiché Dio, il Creatore, è colui che conferisce senso, significato e valore a tutto, il peccato, privando l’uomo di Dio, lo ha ridotto a non avere senso, significato, dignità e valore. L’uomo volendo essere tutto, come Dio ha finito per non essere più niente.

Nel suo infinito amore, Dio ha voluto ristabilire la relazione con la propria creatura, ha voluto risollevarla e farla partecipe dei suoi valori. Per raggiungere tale obiettivo era indispensabile togliere il peccato, causa fin dalla sua origine di separazione.

Tutte le persone umane sono nel peccato (1 Re 8:46; Giobbe 15:14; Proverbi 20:9; Ecclesiaste 7:20;

Romani 3:9-19) e nessuno ha la possibilità di emanciparsi o di espiarlo. Era necessario un uomo che fosse perfetto, così Dio è venuto in carne simile alla nostra, è stato tentato come noi e nella sua vittoria ha dimostrato la sua perfezione (Matteo 4: 1-11; Luca 4: 1-13; Ebrei 4:15). Solamente Gesù, Dio incarnato, possedeva la perfezione morale per potersi caricare del peccato di tutta l’umanità, sostituirla davanti alla sua propria giustizia divina ed espiare attraverso la sua morte ogni peccato, tutto il male passato, presente e futuro generato dall’intera umanità. Il nostro testo evidenzia una grande verità. E’ senza dubbio vero che l’Immacolato Gesù, concepito dallo Spirito Santo in Maria vergine, non conobbe né ebbe a che fare con il peccato tanto che si può affermare che: “L’immacolata concezione riguarda il Figlio e non la madre” (Gaston Racine). E’ altrettanto vero che Egli ha portato sul suo corpo tutto il peccato dell’umanità venendo considerato il peccatore per eccellenza. Ma il testo biblico ci dice di più, cioè che Gesù è stato fatto peccato in modo tale che nella sua morte il mio e nostro peccato fosse ucciso con lui, morisse, non esistesse più (Michea 7:18-19) e la giustizia divina fosse imputata a chi crede in Lui. Cristo Crocifisso: perché? – Per offrire all’uomo l’unica possibilità di essere salvato, avendo annullato il peccato, la colpa che ci condannava, che è stata uccisa alla croce ed ora davanti al Signore non esiste più!

“Dio non vuole che io faccia qualcosa, Cristo ha già fatto tutto!” (Charles H. Spurgeon).

Carlo Bertinelli.

CRISTO CROCIFISSO: DOV’E’?

MARCO 16:19

” Il Signore Gesù, dopo aver loro parlato, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.”

Possiamo predicare Cristo crocifisso senza farne delle lugubri esequie perché il Signore è risorto ed è attualmente vivente (Apocalisse 1:17-18).

Alla croce si è manifestato, in tutta la sua grandezza, l’amore di Dio per le sue creature e per la creazione: il divino Sostituto ha espiato il peccato, la ribellione, l’offesa recata a Dio da tutta l’umanità di ogni tempo; ma alla tomba vuota si è messa in evidenza la perfetta giustizia dl Dio, che non poteva permettere la morte di Colui che non aveva conosciuto per esperienza personale il peccato che è causa di morte.

Sono pochissimi coloro che mettono in dubbio la morte di Gesù, ma non sono pochi quelli che negano la sua resurrezione. Eppure la resurrezione di Cristo è uno dei fatti meglio accertati dalla storia, come possiamo brevemente e semplicemente costatare da alcune realtà.

1) I primi discepoli di Gesù, gli apostoli, furono sconvolti dagli avvenimenti concernenti l’arresto, il processo e la condanna del Signore e possiamo comprenderlo molto bene. Ma notiamo che dopo la resurrezione di Cristo i loro timori e la loro prudenza furono accantonati e divennero coraggiosi, denunciando apertamente il male che era stato commesso (Atti 2:36; 3:14-15; 4:13).

Attraverso la sua resurrezione il Signore Gesù ha trionfato sul peccato e sulla morte. Gesù Cristo non sarebbe il Salvatore se fosse rimasto rinchiuso nella tomba. Egli è morto per l’espiazione dei nostri peccati ed è risorto per la nostra giustificazione (Romani 4:25). La resurrezione costituisce per i credenti una garanzia non solo della loro giustificazione, ma anche della loro futura resurrezione (1 Corinzi 15:20-23) e della loro eternità con Gesù (1 Tessalonicesi 4:16-17; 5:10-11).

La croce è un segno della potenza di Dio, della sua sapienza e della sua infinita grazia. La resurrezione di Cristo è l’atto costitutivo di una nuova umanità, discendente non solo da Adamo, anima vivente, ma anche dall’ultimo Adamo che è spirito vivificante (1 Corinzi 15:45). Come abbiamo portato l’immagine dell’uomo terrestre, così porteremo anche l’immagine dell’uomo celeste (1 Corinzi 15:49). Infatti non dobbiamo dimenticare che il sacrificio di Cristo alla croce non è solo valido per la salvezza eterna di chi crede (questa sarebbe una visione limitata del suo valore) ma ha validità per il restauro universale di tutti i danni provocati dal peccato umano (Romani 8:18-25). Anche per questo il Signore Gesù è artefice di una nuova creazione (Colossesi 1:13-20) ed è ora seduto come Signore, Salvatore, Mediatore alla destra di Dio Padre.

I veri cristiani sono coloro che hanno affidato per un atto di fede la loro vita a Dio tramite Gesù, hanno pace con Dio perché sono stati giustificati dal sacrificio della croce e attendono di poter essere uniti al Signore alla loro resurrezione, mentre vivono sulla terra cercando di onorare Dio con l’ubbidienza, l’adorazione e il servizio.

In Cristo tutti gli uomini risorgeranno (1 Corinzi 15:20-22), tutti incontreranno il Signore Gesù, ma chi non lo saluterà come proprio Signore e Salvatore, lo incontrerà come Giudice.

In questa esistenza è il tempo della salvezza, ora è il momento della decisione perché la nostra vita mortale possa divenire vita eterna. L’unica cosa che Dio richiede è la fede nella persona e nell’opera del Signore Gesù.

Il Signore Gesù non è rimasto in croce, è risorto ed è nel cielo alla destra di Dio.

“Essere con Cristo significa essere nel cielo, essere in cielo significa essere con Cristo!” (Charles H. Spurgeon).

Gennaio 2017

Meditazione dalla trasmissione radiofonica “IL LIBRO DEI LIBRI” di Carlo Bertinelli.

Scelta

Fin da piccoli abbiamo subito capito che nella vita c’è sempre un momento in cui bisogna fare una scelta, poi da grandi e maturi abbiamo appreso che ognuno è libero di scegliere quel che vuole: se continuare gli studi o andare a lavorare, quale lavoro ci piace di più, se sposarsi o rimanere single, l’ideale politico, a quale gruppo o religione appartenere, se essere atei o scegliere Dio.

E’ vero che ognuno di noi è libero di scegliere dove andare e quando ci troviamo ad un bivio  questo lo sappiamo benissimo, ma sappiamo anche che non siamo liberi di scegliere il risultato e le conseguenze delle nostre scelte.

Nella Parola di Dio troviamo continuamente questo principio, anzi direi che è proprio un principio basilare.

Anzitutto per iniziare a leggere al Bibbia e conoscere la volontà di Dio dobbiamo fare per prima cosa proprio questo: una scelta.

Già dall’inizio cioè dalla Creazione il Signore mise l’uomo davanti a delle scelte.

Genesi 2:15 Dio il SIGNORE prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse. 16 Dio il SIGNORE ordinò all’uomo: «Mangia pure da ogni albero del giardino, 17 ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai».

Il versetto 17 è esplicito: il Signore mise l’uomo davanti alla possibilità di scegliere tra il bene ed il male. Ma, come sappiamo, presto una decisione sbagliata portò ad una  scelta altrettanto sbagliata, con una  conseguenza catastrofica per l’umanità intera.

Infatti leggiamo in Genesi 3 dal versetto 4 al 6:   

Genesi 3:4 Il serpente disse alla donna: «No, non morirete affatto; 5 ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male».

6 La donna osservò che l’albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l’albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò.

Il versetto 6 parla chiaro: Eva cedendo alla tentazione  del serpente scelse di trasgredire agli ordini ricevuti dal Signore stesso e trascinò nella disubbidienza anche Adamo.

Come dicevo, nella Parola di Dio sono descritti tantissimi momenti che richiesero decisioni importanti: ad esempio Noè scelse di ubbidire a Dio costruendo l’arca; Abramo scelse di ubbidire a Dio ed iniziò il viaggio per la terra di Canaan; Mosè scelse di ubbidire  per portare via il popolo di Israele dalla schiavitù d’Egitto.

A proposito di Noè leggiamo quanto segue:

Genesi 6:5 Il SIGNORE vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo. 6 Il SIGNORE si pentì d’aver fatto l’uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. 7 E il SIGNORE disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato: dall’uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti». 8 Ma Noè trovò grazia agli occhi del SIGNORE. 9 Questa è la posterità di Noè. Noè fu uomo giusto, integro, ai suoi tempi; Noè camminò con Dio.

Noè aveva precedentemente conosciuto Dio e fece la scelta di credere in Lui e di camminare con Lui.

Il Signore nella Sua Parola ci mette continuamente davanti ad un bivio, davanti ad una scelta. Possiamo notare che ogni testo, ogni libro della Bibbia ci fa conoscere che dobbiamo fare una scelta.

Il Signore ci ha dato, fin dalla creazione e per sua volontà, la possibilità di scegliere e non ce l’ha tolta insieme a tante altre prerogative che l’uomo perse dopo il peccato.

Il  Signore per non farci più sbagliare avrebbe potuto toglierci la libertà di scelta ma non lo ha fatto. Forse sarebbe stato più semplice se avesse scelto Lui chi va in Paradiso e chi va all’Inferno o meglio chi sarà salvato e chi no (come suggerisce una corrente di pensiero teologico), ma la Scrittura è piena di richiami ed appelli da parte di Dio ad una scelta. 

In Esodo leggiamo i comandamenti consegnati a Mosè sul monte Sinai e davanti ad ognuno potremmo aggiungere il verbo “scegli”:

Eso 20:1 Allora Dio pronunciò tutte queste parole: 2 «Io sono il SIGNORE, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. 3 (scegli) Non avere altri dèi oltre a me.

4 (scegli) Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra.

5 (scegli) Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il SIGNORE, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano,

6 e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.

7 (scegli) Non pronunciare il nome del SIGNORE, Dio tuo, invano; perché il SIGNORE non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano.

8 (scegli) Ricordati del giorno del riposo per santificarlo.

 9 (scegli) Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro,

10 ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al SIGNORE Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città;

11 poiché in sei giorni il SIGNORE fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il SIGNORE ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato.

12 (scegli) Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il SIGNORE, il tuo Dio, ti dà.

13 (scegli) Non uccidere.

14 (scegli) Non commettere adulterio.

15 (scegli) Non rubare.

16 (scegli) Non attestare il falso contro il tuo prossimo.

17(scegli) Non concupire la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo».

Cosa possiamo dedurre da questa lettura? Questi per me sono tutti inviti a scegliere, perché il Signore ci mette davanti i suoi comandamenti per scegliere la via giusta. Dio ci ha lasciato liberi di scegliere tra il bene ed il male; ci ordina di stare dalla parte del bene, cioè dalla sua parte, ma lascia sempre a noi la possibilità di decidere.

Fare una scelta molto spesso non è una cosa facile e questo lo sappiamo bene tutti. Decidere di seguire Dio ed accettarlo come nostro Signore può essere molto difficile, specialmente se siamo confusi e convinti che la strada o le strade percorse fino a quel momento siano le migliori.

Ma torniamo un po’ all’inizio di questa meditazione, cioè al fatto che “ognuno di noi è libero di scegliere dove andare ma non siamo liberi di scegliere il risultato e le conseguenze delle nostre scelte”.

Se ci troviamo davanti ad un bivio e non sappiamo cosa ci sia alla fine di ogni strada, logicamente non siamo in grado di scegliere la via  con il risultato e le conseguenze migliori. Questo invece non avviene se ci troviamo davanti a una via dove ci sono  indicazioni e quindi sappiamo a cosa andremo incontro se la seguiamo.

E’ anche vero che oggi ci sono sofisticatissime tecnologie, come ad esempio il navigatore, che ci indicano cosa fare e cosa possiamo incontrare lungo la strada che abbiamo scelto di percorrere rendendoci tutto più semplice. Ma attenzione (questo lo consiglio io che lavoro ogni giorno con queste tecnologie) non vi fidate!

Le tecnologie messe a nostra disposizione sono state inventate dall’uomo e quindi sono imperfette, non bisogna fidarsi di loro ciecamente, perché alla fine di una via potrebbe non esserci quello che cercavamo.

Per esempio questa estate, al ritorno da un campeggio, in autostrada improvvisamente il navigatore mi indicò addirittura di fare inversione di marcia sulla mia stessa corsia, cosa che logicamente non feci. Qualche giorno dopo in televisione udii la notizia di un automobilista che aveva percorso alcuni chilometri contromano in autostrada e aveva dichiarato alla polizia che era stato il navigatore ad indicarglielo. Fortunatamente in quel caso non ci furono conseguenze gravi!

La Parola di Dio al contrario non fallisce mai perché è perfetta come Lui è perfetto.

A volte quando ci troviamo ad un bivio vediamo davanti a noi due strade da percorre: una bella, diritta, tutta asfaltata e illuminata come un’autostrada; l’altra fangosa, stretta, piena di fossi e di curve. Quale scelta fa  la maggior parte delle persone?

Quasi sempre sceglie quella più comoda, quella già pronta in cui non ci si deve preoccupare: ci sono tante altre persone, è tutto scritto per terra, ci sono frecce, nomi di città, bisogna preoccuparsi solo di seguire le indicazioni date da altri uomini … ma in questi casi può anche capitare di trovare qualcuno che guida contromano!

Se scegli quella più scomoda invece non ci sono segnali indicatori, non c’è nessuno che ti obblighi a fare percorsi già preimpostati, non devi guardare le indicazioni per terra … perché quelle sono scritte nel cielo!              

Il Signore, che è nel cielo, nella sua Parola ci dice da quale parte andare e come procedere durante il cammino. Soprattutto ci mostra chiaramente quello che troveremo durante ed alla fine del percorso e ci avverte anche che non è molto semplice percorrere la via stretta che porta alla vita.

Leggiamo i versetti 13 e 14 di Matteo 7: 


13 Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. 14 Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano.

Il Signore ci indica quale via dobbiamo scegliere per la nostra vita su questa terra ed anche per l’eternità. Noi che abbiamo scelto la via più tortuosa, con più insidie, ricordiamoci che siamo tenuti a compiere altre scelte giorno per giorno, momento per momento. Per non deviare e tornare indietro teniamoci uniti a Dio, seguendolo e camminando con Lui. 

Nel libro del Deuteronomio troviamo un passo Biblico che indica molto chiaramente che il Signore vuole da noi una scelta:

Deuteronomio 30:19 Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, 20 amando il Signore tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così abitare sulla terra che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri, Abramo, Isacco e Giacobbe».

Vorrei terminare con la lettura del Salmo intitolato “Due uomini, due vie, due destini”, che descrive la sorte dell’uomo che sceglie di seguire la via del Signore e di quello che se ne allontana:

Salmo 1:

1 Beato l’uomo che non cammina secondo il consiglio degli empi, che non si ferma nella via dei peccatori; né si siede in compagnia degli schernitori;

2 ma il cui diletto è nella legge del SIGNORE, e su quella legge medita giorno e notte.

3 Egli sarà come un albero piantato vicino a ruscelli, il quale dà il suo frutto nella sua stagione, e il cui fogliame non appassisce; e tutto quello che fa, prospererà.

4 Non così gli empi, anzi sono come pula che il vento disperde.

5 Perciò gli empi non reggeranno davanti al giudizio, né i peccatori nell’assemblea dei giusti.

6 Poiché il SIGNORE conosce la via dei giusti, ma la via degli empi conduce alla rovina.

Il Signore ci guidi!                                                                Nazario 16 Ottobre 2022.

Il male fa male

ROMANI 8:35
“Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?”

Il male fa male. Prima di tutto a chi lo compie consapevolmente o inconsciamente, poi a chi lo subisce sia colpevolmente che innocentemente ed infine a tutti coloro che l’osservano con interesse o indifferenza. Il male fa male a tutti e sempre! Il male nelle sue tante e diverse manifestazioni – spirituali, morali, fisiche, materiali – è una realtà innegabile, estesa, tangibile e tuttavia non sappiamo nulla su di esso. Non ne conosciamo con assoluta precisione l’origine, la causa, la natura; sappiamo solo che è usato dal diavolo ma sempre sotto la sovranità di Dio.
L’elenco del nostro testo comprende sette espressioni del male, ma non è esaustivo, è solo indicativo. Nelle “tribolazioni” vediamo le normali pressioni della vita, le avversità che colpiscono e coinvolgono tutti; nelle “persecuzioni” le avversità contro la fede cristiana; nella “fame e nudità” le privazioni della vita, la povertà e la miseria; nei tanti e diversi “pericoli” gli imprevisti a cui siamo esposti e nella “spada” il simbolo di ogni violenza.
Ho tralasciato “l’angoscia”, che l’apostolo pone al secondo posto. Non è qualcosa che colpisce tutti, ma chi ne viene toccato lo è nel più profondo del suo essere, nell’aspetto più intimo della sua vita.
Il termine “angoscia” deriva da “angustia” che significa “strettezza” e indica uno stato tormentato di ansietà e di sofferenza intensa che affligge una persona per una situazione reale o immaginaria.
Nell’uso corrente denota uno stato molto più grave della semplice ansia, in quanto accompagnato da dubbi, paure, che fanno avvertire una specie di ristrettezza che impedisce di vedere soluzioni, aperture, prospettive conducendo così ad una afflizione e sofferenza interiore profonda.
Comprendiamo con facilità il male che ci può venire dalle altre sei espressioni di difficoltà e opposizione, ma nell’angoscia vediamo uno stato d’animo che ci sembra colpevole, che non riusciamo a combattere, che ci supera e non ci lascia scampo e che sembra non avere alcun senso in un discorso di fede. Pertanto la sofferenza aumenta perché si sembra un tradimento alla fede dichiarata nella grazia e nell’amore del Signore Gesù. Eppure l’apostolo ne parla e la pone all’inizio del suo elenco, come qualcosa che può avvenire e che priva chi ne è colpito di ogni resistenza e capacità di risollevarsi.
Nelle Scritture Sante le parole hanno il loro preciso significato e il loro giusto posto. Come siamo chiamati a non essere superficiali, siamo altresì chiamati a non spostare i termini dalla loro posizione. Dopo aver citato genericamente le tribolazioni di cui tutti gli uomini sono eredi, Paolo inizia a parlare dei credenti partendo dalla loro realtà più intima e nascosta perché anche quella è oggetto degli attacchi del maligno.
Inizia dalla depressione perché con questo male vengono annientate le nostre difese e non si è più in grado di affrontare le altre lotte. L’angoscia è come un vortice che trae verso il basso facendo perdere ogni sostegno della ragione, della logica, del buon senso. Si precipita senza forza di reazione, di volontà e di speranza, perdendo certezze, convinzioni, conoscenze radicate e sperimentate.
Di fronte a tale realtà, che ha colpito grandi uomini di Dio come Mosè, Elia, Spurgeon, il Signore ci ricorda semplicemente grandi verità che, essendo “voce divina”, possono veramente esserci d’aiuto:
“Se Dio è per noi chi sarà contro noi?”;
“Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà anche tutte le cose con Lui?”;
“Chi accuserà gli eletti di Dio?”
E infine: “Chi ci separerà dall’amore dì Cristo?” (Romani 8:31-35).
Vorrei notare una cosa importante: non è in causa il nostro amore per il Signore, ma l’amore di Gesù per noi! (1 Giovanni 4:10).
L’angoscia, la depressione, è un attacco profondo che il diavolo rivolge al nostro cuore, alla nostra ragione e alla nostra fede. Dio lo permette e noi dobbiamo chiederci se tanti uomini di Dio sarebbero stati gli stessi senza aver subito una simile esperienza, che priva l’essere di superficialità e di orgoglio, costringendolo ad una approfondita analisi di se stesso. La solitudine da Dio rende umili ed obiettivi nella scelta dei veri valori. Dio ci prova nel “crogiuolo dell’afflizione” (Isaia 48:10) senza perderci di vista e senza abbandonarci (Salmo 91:14-16).
La normale difesa a tale attacco è la meditazione costante della Parola di Dio, la preghiera appassionata e devota per la ricerca della divina Presenza, l’umile domanda della comunione fraterna accompagnata dall’intercessione, il proseguimento del servizio dedicato al bene degli altri, distogliendo lo sguardo da noi per rivolgerlo ad altri bisogni e bisognosi.
Così la fede sarà esercitata, si manterrà allenata, anche se nel tempo dell’angoscia non produrrà gioia, soddisfazione e non si avvertirà la felice presenza dello Spirito Santo. La vittoria sarà certa e l’atteso intervento divino risulterà alla gloria di Colui che ama e ci ha amati, rendendoci per la sua grazia “più che vincitori!” (Romani 8:37) anche in tale orribile situazione.

Carlo Bertinelli
Maggio 2011

10 motivi per credere nella Bibbia

1. La sua onestà

La Bibbia è molto onesta. Parla di Giacobbe, il padre del suo “popolo scelto”, come ingannatore. Descrive Mosè, che ha dato la legge, come un leader riluttante e insicuro di sé, e che, nel suo primo tentativo di aiutare il suo popolo, uccise un uomo e poi fuggì nel deserto. Racconta di Davide, non solo come re, generale e leader spirituale di Israele, ma anche come uno che ha preso la moglie di un altro e poi, per coprire il suo peccato, cospirò per far uccidere il marito. Ad un punto, le Scritture accusano il popolo di Dio, la nazione di Israele, di essere così malvagio che Sodoma e Gomorra sono bravi in confronto (Ezechiele 16:46-52). La Bibbia rappresenta la natura umana come ostile a Dio. Predice un futuro pieno di guai. Insegna che la via al cielo è stretta e che la via per l’inferno è larga. Le Scritture chiaramente non sono state scritte per quelli che vogliono risposte semplici, o un punto di vista facile e ottimista della religione e della natura umana.

2. La sua preservazione

Mentre lo stato moderno di Israele nasceva dopo migliaia di anni di dispersione, un pastore beduino scoprì uno dei tesori archeologici più importanti. In una grotta nella parte nord-occidentale del mar Morto, un vaso rotto rese documenti che erano rimasti nascosti per due millenni. Altre scoperte produssero manoscritti che risalivano a 1.000 anni prima delle copie che erano le più vecchie conosciute in precedenza. Uno dei più importanti era una copia di Isaia. Rivelò un documento che è in pratica uguale al libro di Isaia che appare nelle nostre Bibbie. I rotoli del mar Morto screditarono le affermazioni di quelli che credevano che la Bibbia originale era stata persa e manomessa.

3. Le sue affermazioni su sé stessa

È importante sapere quello che la Bibbia dice di sé stessa. Se gli autori delle Scritture non hanno creduto di parlare per Dio, sarebbe presuntuoso da parte nostra credere così di loro. Avremmo anche un problema diverso. Avremmo una raccolta di misteri non risolti, inclusi in una letteratura storica e etica, ma non avremmo un libro che ha ispirato la costruzioni di migliaia di chiese e di sinagoghe in tutto il mondo. Una Bibbia che non affermasse di parlare per Dio non potrebbe essere il fondamento della fede di miriadi di Cristiani e Giudei (2Pietro 1:16-21). Ma con molta evidenza e tanti argomenti, gli scrittori della Bibbia affermavano di essere stati ispirati da Dio. Siccome milioni hanno affidato il loro presente e il loro futuro a queste affermazioni, la Bibbia non può essere una ‘buon libro’ se i suoi scrittori hanno sempre mentito sulla fonte delle loro informazioni e ingannato i loro lettori.

4. I suoi miracoli

L’esodo di Israele dall’Egitto dà una base storica per credere che Dio abbia rivelato sé stesso a Israele. Se il mar Rosso non fosse diviso come Mosè disse che era successo, l’Antico Testamento perderebbe la sua autorità di parlare da parte di Dio. Il Nuovo Testamento dipende ugualmente sui miracoli. Se Gesù non fosse risorto dai morti, l’apostolo Paolo ammise che la fede cristiana sarebbe stata costruita su una bugia (1Corinzi 15:14-17). Per dimostrare la sua credibilità, il Nuovo Testamento nominò i suoi testimoni, e fece così in un periodo che rendeva possibile il controllo di queste affermazioni (1Corinzi 15:1-8). Molti dei testimoni furono martirizzati, non per convinzioni astratti di moralità o di spiritualità, ma per la loro affermazione che Gesù era risorto dai morti. Mentre il martirio non è insolito, quello che è importante è la base di quello per cui queste persone diedero la propria vita. Molti muoiono per quello che credono di essere la verità. Ma persone non muoiono per quello che sanno di essere una bugia.

5. La sua unità

40 scrittori diversi scrissero i libri della Bibbia in un periodo di circa 1.600 anni. 400 anni di silenzio separano i libri dell’Antico Testamento da quelli del Nuovo Testamento. Eppure, da Genesi ad Apocalisse, tutti gli scrittori e tutti i libri racconto un’unica storia, che man mano si sviluppa. Insieme, danno rispose coerenti alle domande più importanti che possiamo porre: Perché ci siamo? Come possiamo affrontare le nostre paure? Come possiamo vivere in pace con gli altri? Come possiamo alzarci sopra le nostre circostanze e tenere viva la speranza? Come possiamo fare pace con il nostro Creatore? Le risposte costanti della Bibbia a queste domande dimostrano che le Scritture non sono molti libri, ma uno solo.

6. La sua esattezza storica e geografica

Nel passato, molti hanno dubitato dell’esattezza storica e geografica della Bibbia. Però, archeologici moderni hanno ripetutamente trovato evidenza delle persone, dei luoghi e delle società menzionati nelle Scritture. Diverse volte, le descrizioni nel racconto biblico si sono dimostrati più affidabili delle speculazioni degli studiosi. Il visitatore moderno ai musei e ai paesi della Bibbia non può non essere impressionato dallo sfondo geografico e storico del testo biblico che veramente esisteva.

7. La sua approvazione da parte di Cristo

Molti hanno parlato bene della Bibbia, ma nessuna approvazione è così forte quanto quella di Gesù di Nazaret. Raccomandò la Bibbia non solo con le sue parole, ma anche con la sua vita. In momenti di tentazione personale, di insegnamento pubblico e di sofferenza personale, rese chiaro il fatto che credeva che l’Antico Testamento era più di una tradizione nazionale (Matteo 4:1-11; 5:17-19). Credeva che la Bibbia fosse un libro che parlava di sé stesso. Ai Giudei disse, “Voi investigate le Scritture, perché pensate d’aver per mezzo di esse vita eterna, ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me; eppure non volete venire a me per aver la vita!” (Giovanni 5:39-40).

8. Le sue profezie

Fin dal tempo di Mosè, la Bibbia predisse degli eventi in cui nessuno voleva credere. Prima che Israele entrasse nella terra promessa, Mosè predisse che Israele sarebbe stato infedele, che avrebbe perso la terra che Dio gli dava, che sarebbe disperso in tutto il mondo, raccolto e poi ristabilito (Deuteronomio 28-31). Centrale alle profezie dell’Antico Testamento era la promessa di un Messia che avrebbe salvato il popolo di Dio dai loro peccati e poi portare il giudizio e la pace al mondo intero.

9. La sua sopravvivenza

I libri di Mosè furono scritti 500 anni prima delle prime scritture indù. Mosè scrisse il libro della Genesi 2000 anni prima che Muhammad scrivesse il Corano. In tutto questo periodo, nessun libro è stato così amato e così odiato quanto la Bibbia. Nessun altro libro è stato comprato, studiato e citato quanto la Bibbia. Mentre milioni di altri libri sono stampati e dimenticati, la Bibbia è ancora il libro con cui gli altri sono misurati. Benché sia trascurata da quelli a cui non piace il suo insegnamento, la Bibbia è tutt’oggi il libro fondamentale dalla civilizzazione occidentale – anche se in realtà è un libro del Medio Oriente.

10. Il suo potere di cambiare vite

In tutta la storia, ci sono state delle persone che la Bibbia ha cambiato. I Dieci Comandamenti sono stati una fonte di guida morale per milioni di persone. I Salmi di Davide hanno confortato in periodi di difficoltà e perdita. Il Sermone sul Monte di Gesù ha dato a molti l’antidoto all’orgoglio e al legalismo. La descrizione dell’amore da parte di Paolo in (1Corinzi 13) ha ammorbidito cuori arrabbiati. Le vite cambiate di persone come l’apostolo Paolo, san Agostino, Martino Lutero, John Newton e Lev Tolstoj illustrano la differenza che la Bibbia può fare. Addirittura intere nazioni e tribù, come i Celti dell’Irlanda, i Vichinghi della Norvegia, o gli Indiani Auca dell’Ecuador, sono state trasformate dalla Parola di Dio e dalla vita unica e dal significato di Gesù Cristo.

 

L’amore di Dio in una Pandemia

Dr. Peter Masters

Questi sono giorni di grande rilevanza, in cui ci troviamo nel mezzo di una “disciplina” o avvertimento mondiale da parte di Dio, che ci chiama a riconoscerlo e cercarlo. Sebbene ci ritraiamo da tale pensiero, questa è la ragione di tutte le catastrofi inattese, sia che si tratti di epidemie, alluvioni o incendi di vasta portata. La Bibbia dice, infatti, che questi eventi avverranno più spesso negli “ultimi giorni”, quando l’ateismo abbonderà e le persone generalmente non penseranno al Creatore e non lo pregheranno.

Un avvertimento di Dio non è come il giudizio finale, perché è un’ espressione dell’amore di Dio che esorta le persone a rivolgersi a Lui, mentre il giudizio finale chiuderà definitivamente la porta della misericordia per coloro che gli voltano le spalle. E’ vero che un avvertimento non è permanente e in ultima analisi Dio ha anche dato all’umanità la capacità di controllarlo, ma una catastrofe inviata come avvertimento ci richiama all’ordine e ci umilia, ricordandoci che siamo solo esseri umani nelle mani di Dio e che siamo tenuti a rendergli conto.

Il Coronavirus ci ha certamente scosso più di ogni altra catastrofe verificatasi negli ultimi tempi. L’approccio relativamente moderato della nostra élite scientifica nel Regno Unito ha presto lasciato il posto a misure radicali quando il virus è sfuggito ad ogni pronostico. L’allarme ha scosso la potente Cina e ha sbalordito il severo regime Iraniano. L’Europa si è presto affrettata a chiudere le frontiere e gli onnipotenti Stati Uniti sono stati costretti a piegarsi come chiunque altra nazione.

Mentre la pandemia procede, aspetti significativi si fanno più evidenti. Sono gli anziani, come l’autore di questo testo, che sono più a rischio: coloro che hanno avuto una vita di opportunità per onorare il loro Creatore e forse lo hanno rifiutato. Il virus sembra dire alle persone più giovani: “avete ancora qualche opportunità, non sdegnate la pazienza del Signore”. Ricordate che se Dio è amore Egli è anche santo e giusto.

Questo potrebbe non essere l’ultimo avvertimento o disciplina, sebbene la sua piena “indignazione” non sia ancora stata rivelata. I cristiani stanno pregando per ottenere sollievo e guarigione da queste sofferenze e stiamo assistendo a molti atti di bontà tra le persone. Tuttavia riteniamo sia vitale prestare attenzione al messaggio e al significato di questa pandemia. Il suo scopo è invitarci a ottenere il perdono e la riconciliazione con Dio, venendo al Salvatore, Gesù Cristo nostro Signore, che ci ha aperto una via di salvezza soffrendo e morendo per i peccatori sulla croce del Calvario. Confidare in Lui, pentirsi dei nostri peccati e donare a Lui la nostra vita , significa ricevere da Dio una vita nuova ed eterna.

Articolo originale sul sito Metropolitan Tabernacle / Londra.